A caccia di videogame: DEATH RACE 1976

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Death Race, classe 1976: un videogioco in cui si doveva investire degli omini. Ebbe un enorme successo, poi però arrivarono i dolori

Immaginate un vecchio magazzino polveroso in mezzo al nulla in qualche paesino di provincia americano.
Lì nascosto da un telo, tra tanti cabinati, si cela un mobile che porta con se una storia che aspetta solo di essere raccontata.
In realtà il ritrovamento di questo pezzo rarissimo della nostra collezione è stato molto meno teatrale… però quello che seguirà è l’interessante storia che porta con se.
Molto sovente si vedono servizi giornalistici che attribuiscono ai videogiochi l’essere la causa della violenza in molti adolescenti.
Dovete sapere che però questo fenomeno non è nato con l’arrivo delle console che noi tutti conosciamo.
A metà degli anni 70 la Exidy, sviluppatore americano di videogiochi, realizzò un cabinato arcade che avrebbe influenzato per sempre il mondo dei videogiochi, diventando padre dei più famosi e contemporanei CARMAGEDDON e della fortunatissima serie di Rockstar Games GRAN THEFT AUTO.
Death Race classe 1976 era un gioco di guida, ma non uno qualunque.
Lo scopo era quello di investire degli omini per lo schema di gioco che morendo emanavano un grido e riapparivano sullo schermo sotto forma di croci.
Per il così detto politically correct questi omini furono denominati gremlin e le grafiche poste sul cabinato rappresentavano degli scheletri alla guida di muscle car dell’epoca.
Il gioco ebbe un enorme successo e risollevò le sorti della Exidy che prima di allora non navigava in buone acque.
Prima però delle gioie arrivarono i dolori come era prevedibile. Alcune tra le testate giornalistiche statiunitensi più famose come Midnight, National Enquirer, WeekEnd, USA Today,
additarono il gioco come violento ed inappropriato per le giovani schiere di teenager dell’epoca.

death race

Tale fu il polverone sollevato che la discussione arrivò addirittura in televisione sul famoso programma dell NBC, Tonight Show.
Altre case famose si schierarono contro la Exidy, una tra tutte la Atari che rilasciò proprio un comunicato stampa in cui ne sottolineava l’immoralità.
In uscita la Exidy produsse circa 200 macchine, ma, dopo il polverone innescato da un reporter della Associated Press di Seattle indignato dalla visione di alcuni ragazzini che giocavano a Death Race, sentendo le urla del gioco quando venivano investiti i “gremlin”, contribuì (a dire dalla stessa Exidy) all’aumento della produzione che salì vertiginosamente a quota 3.000 unità ribaltando così le sorti dell’azienda.
Forse vi state chiedendo cosa renda questo cabinato così raro visto che ebbe tanto successo… ebbene, a distanza di 44 anni, quasi tutti i cabinati dell’epoca sono stati distrutti proprio per la natura violenta del gioco.
Ed è qui che entriamo noi di Arcade Story!
Il buon Antonio Nati, fondatore della nostra associazione, è alla perpetua ricerca dell’arcade perduto.
Questi mobili, che un tempo facevano la felicità di molti adolescenti, essendo ingombranti, sono stati ammucchiati in vecchi magazzini e successivamente, o distrutti per far posto a oggetti più redditizi o venduti a collezionisti.
Come un moderno Indiana Jones, Antonio, scova questi cabinati disseminati per mezzo mondo e li fa arrivare in Italia nella nostra sede.
Qui con pazienza e olio di gomito, insieme ad alcuni di noi esperti nel restauro, riesce a dare nuova vita a questi mobili.
Questo però non ci basta!
Lo scopo di Arcade Story, oltre a far fare un tuffo nel passato ai nostalgici come il sottoscritto, è quello di creare una memoria collettiva nei giovani.
Far rivivere l’atmosfera che si respirava nelle sala giochi, lo spirito di aggregazione, il desiderio di voler vedere la fine di un gioco, o voler far apparire il proprio nick-name nella tabella dei record.
E per fare tutto ciò raccontiamo la storia dei videogiochi facendola vivere in prima persona a chi ci viene a trovare. Dopo tutto gli odierni videogiochi arrivano proprio da quei mobili, Death Race ne è un chiaro esempio e come lui tantissimi cabinati hanno storie interessanti che aspettano solo il momento giusto per essere raccontate.

MIKE ARCADE

Ho scoperto dopo i 40 che quando parlo le persone mi ascoltano volentieri

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